Un po’ di storia…
L'esperienza del Centro d'Ascolto Interparrocchiale di
Calenzano Il
Centro di Ascolto Caritas Interparrocchiale di Calenzano, nato il 5 ottobre
1995, conta oggi (anno 2008 n.d.r.)
13 anni di operato come luogo di ascolto, orientamento
e sostegno grazie al servizio di 40 volontari. Il
Centro è divenuto ormai un punto di riferimento sul territorio,
confermandosi spazio dove trovare informazioni per risolvere problemi di
vario genere e attraverso il quale accedere ai servizi di distribuzione di
vestiario e generi alimentari. Spesso chi si rivolge al Centro è alla
ricerca di una risposta a bisogni materiali ma, dall'ascolto attento, nascono
percorsi volti ad aiutare le persone a liberarsi dalla necessità di
assistenza e a recuperare la propria dignità. All'attività
di ascolto sono dedicate presso il Centro circa 12
ore settimanali: nel corso del 2007 si sono presentate al Centro d'Ascolto
circa 1800 persone tra italiani e stranieri, di cui circa 450 considerati
come nuovi arrivi nel nostro Paese. Circa 20 ore
settimanali sono dedicate alla distribuzione e alla preparazione di viveri e
vestiario: nel 2007 sono state distribuite 723 spese, rispettivamente a
1090 stranieri e 836 italiani. (Negli anni
successivi le persone che hanno bussato al Centro di Ascolto sono state molte
di più così come il numero di spese distribuite). Il
Centro si è occupato nel tempo anche di altri servizi come del pagamento
delle utenze (acqua, luce, gas, affitto) resosi necessario in casi in cui la
mancata corresponsione avrebbe creato rilevanti difficoltà soprattutto in presenza di bambini, oppure del pagamento di biglietti
di viaggio per favorire a tanti il rientro in patria e la ricongiunzione con
le proprie famiglie. Inoltre, si rende spesso necessario per gli assistiti
l'aiuto nella risoluzione di problematiche burocratiche, quali ad esempio
l'ottenimento dei diritti di maternità oppure la mediazione di un avvocato
per seguire cause civili o penali o ancora il reperimento di
informazioni circa i diritti lavorativi o il rinnovo dei documenti. Il
lavoro del Centro si svolge a stretto contatto con gli assistenti sociali che
operano sul territorio. Esso si avvale della collaborazione di enti pubblici
e privati, di strutture sociali, di altre associazioni di volontariato, di
medici che mettono a disposizione la loro professionalità. Inoltre una
speciale collaborazione è in atto con la Fondazione Liliana Magli: il Centro
riceve dagli assistenti sociali alcuni nominativi
di anziani, che comunica alla Fondazione la quale provvede a sostenere
queste persone over 65 che vivono in condizione di
particolare solitudine e bisogno. Ma per descrivere il
Centro d'Ascolto facciamo parlare chi davvero ascolta, ossia i volontari,
veri protagonisti del servizio: li abbiamo incontrati lo scorso giovedì 18
settembre. Perché
scegliere di fare volontariato? Ognuno ha la propria risposta, maturata
grazie al vissuto personale, agli incontri avuti. "Per me si tratta di
un profondo arricchimento personale", esordisce Benedetta, seguita
subito da altre volontarie. "Dopo l'esperienza di una malattia durante
la quale ho provato tanta sofferenza, una domenica durante la Messa mi è
venuta l'idea di iniziare a spendermi con la Caritas per rispondere
all'esigenza che provavo di ricerca di qualcosa in più nella mia vita e
proprio all'uscita dalla chiesa ho trovato alcuni operatori della Caritas
impegnati in una raccolta", racconta Angela. Mentre Samantha, che ha
iniziato grazie all'invito di un'altra operatrice, si esprime così: "è proprio vero che si riceve più che dare, incontrando
tanta sofferenza si rivaluta la nostra quotidianità, diventano banali le
nostre preoccupazioni." Passaparola,
invito, scelta personalmente meditata: tanti i modi che possono aver
avvicinato al Centro d'Ascolto e al volontariato con la Caritas. "In
ogni caso", sostiene Mario, uno dei volontari, "se non si fa per
una spinta di fondo, se non si fa per Cristo, dopo
poco si sente la fatica... anche se ho in mente che al Centro d'Ascolto ho
davanti dei fratelli e inevitabilmente devo armarmi ogni volta di santa
pazienza". Non
mancano infatti le difficoltà: "molto spesso ci
sentiamo impotenti, ci sentiamo persi ad esempio di fronte all'insistenza di
alcuni oppure di fronte alla constatazione che per il lavoro e la casa - le
primarie richieste di chi si rivolge al Centro - non li possiamo
accontentare", dicono in coro i volontari. "Ma
non mancano le soddisfazioni", ricorda Lucia, "si ascolta, si dona
affetto, si brontola (ci vuole anche questo!)... a volte bastano cinque
minuti in più per chiarirsi, capire meglio il problema e potersi
vicendevolmente aiutare". Affiorano
tra i ricordi dei volontari molte vicende conclusesi
nel migliore dei modi: da Virgilio e Alina, coniugi
rumeni emigrati senza un soldo ed oggi genitori con casa e lavoro, a
Giovannino, caso difficile di un senzatetto ora sistemato più che dignitosamente. Anna,
una delle prime volontarie, all'opera dal 1995, sottolinea
che "più che al timore del nostro fallimento, bisogna pensare che i
bisognosi stessi per primi si sentono falliti, vivendo solo di carità".
"Rimaniamo male quando ci accorgiamo che ci dicono
bugie, ci dispiace perché è difficile in questo modo entrare in contatto con
loro ed inoltre a volte non è facile capire l'effettiva necessità delle
persone: nostro desiderio è aiutare chi effettivamente ha bisogno",
precisa a seguire Luciano. "E' davvero un grande interrogativo per
tutti quanti: chi è povero? Chi ha bisogno?", conclude
Marsilio, Presidente del Centro, "ma il nostro compito è quello di
cercare di mantenere un equilibrio con le persone che aiutiamo e soprattutto
mettere sempre prima di tutto il cuore". Il
bilancio dell'esperienza, dopo anni di cammino, è certamente positivo. Ora, inevitabilmente, si sente tra i volontari il vuoto lasciato
dalla perdita di don Marco, salito al cielo lo scorso 28 agosto. Ma forte è il desiderio di guardare avanti, sostenuti dal
suo esempio, con la volontà di crescere nel servizio agli ultimi, cercando
sempre più di condividere questo cammino con altre parrocchie, con i loro
fedeli e i loro sacerdoti. "Don
Marco ci ripeteva sempre", ricordano i volontari, "Voi fate e i
soldi non mancheranno mai, la Divina Provvidenza ci
accompagna!", o ancora, "Questo è un centro d'ascolto!!". E
l'impegno continua sulla scia di questi ulteriori
ricordi: "La sua sete era che noi volontari fossimo un cuore e un'anima
sola: non dobbiamo fermarci, abbiamo da camminare. Don Marco - conclude Marsilio -ci ha insegnato ad affrontare le
situazioni non solo con il cuore, ma anche con intelligenza: mi piace
ricordarlo come una persona giusta, che ci dava ogni volta il senso di ciò
che era giusto fare". |
La Caritas
a Calenzano nel segno di don Marco... Intervista rilasciata da don Marco Brogi
il 30 Giugno 2008 per Solidarietà Caritas. - Quando e come è nata la Caritas a
Calenzano? La Caritas a Calenzano è nata il 5 ottobre 1995, dopo
una mia personale riflessione sul Natale e il suo significato. Gli auguri
vanno bene a una coppia quando questa ha una casa e
può mantenere un bambino ma, pensando a lungo a Giuseppe, Maria e Gesù, che
considero i primi nomadi di ogni secolo, mi sono chiesto: "Che buon
Natale auguro loro?" "Come posso aiutare loro a far sul serio
Natale?'. E così è nato il mio impegno con la Caritas a Calenzano aprendo il
centro d'ascolto. - Come
si presentava all'inizio? All'inizio il servizio si presentava male, direi. In
piazza del Ghirlandaio non c'era spazio sufficiente
per svolgere regolarmente le attività, a fronte di un "vespaio di
bisogni" che la comunità presentava. Il lavoro e
cominciato con una vocazione precisa, quella di ascoltare, dunque inaugurando
il Centro d'Ascolto. Solo successivamente si
pensò anche ad elargire beni, aprendo il Servizio Guardaroba (oggi molto
fornito in virtù di una gran quantità di donazioni) e il Banco Alimentare con
cui fu stipulata una convenzione. - A chi si è rivolto e si rivolge in maggior misura il sevizio? In gran misura il servizio si rivolge a persone
straniere, nomadi, romeni ecc. ma la sorpresa degli ultimi tempi sono le
sempre più numerose famiglie italiane, spesso inviate dagli assistenti
sociali, che chiedono aiuto per arrivare alla fine del mese. Una nuova
situazione cui cerchiamo di rispondere con il nostro contributo. - Cosa
ritiene, da sacerdote, che possa significare l'attività caritativa per una
comunità parrocchiale, per un gruppo di fedeli? Una comunità parrocchiale si nota per un solo motivo:
perché fa la carità. Questo deve essere lo spirito che anima il sacerdote che
guida la comunità e tutti i suoi membri: una comunità parrocchiale si
caratterizza non per il numero di messe o di bambini al catechismo ma per
l'amore che traduce in carità verso chi ha bisogno. Non sono i riti belli
con tutti i fronzoli ma l'amore per i poveri che contraddistingue una
comunità parrocchiale. Come sacerdote ho cercato in
questi anni di accompagnare i volontari offrendo loro, oltre al mio
incoraggiamento, ogni mese uno spazio comunitario per la lettura della Parola
di Dio e la meditazione. Ho cercato di trasmettere messaggi chiari e
formativi, tra i quali quello che la carità si fa senza apparire, in sordina. Bisogna sempre sforzarsi di stabilire un rapporto
nell'impegno caritatevole anche con altre parrocchie del vicariato. - Quali parole desidera rivolgere a chi si impegna
oggi al servizio dei più fragili e deboli? Voglio dire di non scoraggiarsi mai,
di aver pazienza, di sforzarsi prima di tutto di
ascoltare più che di parlare, resistendo anche alla stessa tentazione di
dare prima che di ascoltare. L’ascolto è il dono per eccellenza e quello che
maggiormente aiuta in concreto a risolvere situazioni difficili. |
Il ricordo della Diocesi: le parole del Cardinale Don Marco è tornato alla casa del
Padre lo scorso 28 Agosto. Pubblichiamo alcune parti dell'omelia pronunciata
dal Cardinale Ennio Antonelli nella Messa esequiale di don Marco Brogi lo
scorso 30 Agosto nella Chiesa di San Niccolò a Calenzano. |
|
[...] "Ad
una prima impressione non sembra evidente il motivo per cui avete scelto il
brano del Vangelo di Luca con l'episodio di Zaccheo.
Perché Zaccheo? Perché a questo nome e a questa
figura voi riconducete una esperienza molto bella
della vostra parrocchia, il centro di accoglienza Zaccheo
-così l'avete chiamato - che è nato per volontà di don Marco e che con tanto
amore continuate a mandare avanti. Chi e Zaccheo?
E' un pubblicano, una specie di esattore della dogana di
Gerico, a servizio dei Romani. Non credo che don Marco, impiegato di banca,
si dovesse proprio riconoscere in questo personaggio che il Vangelo di Luca
definisce capo dei pubblicani e ricco. Ma il Vangelo
dice anche che Zaccheo era piccolo di statura e che
voleva vedere Gesù. E questo è il vero motivo della scelta. Piccolo: essere piccoli nel vangelo è una fortuna. Quando i primi
discepoli tornano esultanti dalla loro missione, Gesù ha un fremito di
commozione e si rivolge al Padre dicendo: "Ti ringrazio o Padre perché
queste cose le hai tenute nascoste ai sapienti e agli intelligenti e le hai
rivelate ai piccoli". I piccoli sono privilegiati nella rivelazione dei
misteri di Dio perché aspettano tutto da Dio, perché sanno che tutto è suo
dono, perché sanno che Dio li ama. E allora non sì
vergognano a salire sull'albero, ad arrampicarsi tra le fronde del sicomoro
rischiando il ridicolo: vogliono vedere Gesù. "Cercava di vedere
Gesù" - dice il vangelo. Pascal avrebbe commentato: "Non mi cercheresti
se non mi avessi trovato ". E Gesù lo vede e lo guarda. Ma ne conosce già il nome, ha già un progetto su di lui - "Zaccheo, scendi. Oggi devo
fermarmi a casa tua". Così è nato, con questo particolare accento
sull'aggettivo piccolo, il vostro centro di accoglienza "Zaccheo" di cui don Marco è stato l'anima. Centro
mandato avanti da persone che si sentono piccole e povere e che vogliono
rivolgersi ai piccoli e ai poveri. Ma Zaccheo e anche altro. Il Vangelo non dice che Zaccheo diventò discepolo del Signore. Forse continuò a
fare il lavoro che faceva prima. Forse non lasciò
mai il suo banco alla dogana. Solo che, dopo aver visto Gesù, imparò a
condividere. La metà dei suoi beni li diede ai
poveri. Soprattutto imparò a vivere in modo diverso, a guardare gli altri
sotto un'altra luce. Quindi quella di Zaccheo può essere un'esperienza per tutti, da fare in
parrocchia, rimanendo al nostro posto, al nostro lavoro, senza pretendere
cose eccezionali ma imparando a condividere. Questo mi pare il significato di
una storia - la storia di Zaccheo
- nella quale don Marco ha inteso riconoscersi e con la quale ha inteso
aiutare a riconoscersi anche coloro che volevano lavorare con lui. Zaccheo invita Gesù a casa sua, vuole che rimanga a cena
da lui e cenare nella bibbia è sempre un momento particolare di intimità e di conoscenza: a cena, dirà ancora il
Vangelo, allo spezzare il pane, è possibile riconoscere il Signore. [... ] Don Marco ci lascia un'immagine di Chiesa, di una
Chiesa povera che non nasconde la sua piccolezza e la sua infermità umana,
ma anche di una Chiesa viva, che si lascia portare dal vento dello Spirito.
Pregate per la Chiesa, per la nostra Chiesa di Firenze. Pregate per le
vocazioni. Muoiono i preti e ne abbiamo tanto bisogno: preti - santi preti -
che parlino di Gesù, che lo facciano conoscere ed
amare". |